Più vado avanti nel bel mezzo del cammin della mia vita, più mi imbatto in gente che sembra non essere felice della vita che conduce. Ansia, insonnia, stress, attacchi di panico, e chi più ne ha più ne metta. Spie, senza dubbio, dell’anima che – tra tutte le parole che lanciamo al mondo – cerca di dire qualcosa anche lei: povera Anima che in tutti i modi si strapazza per avvisarci che al di sotto della punta dell’iceberg c’è un enorme ammasso di ghiaccio che minaccia di frantumarsi in centinaia di pezzi ed alzare il livello dell’oceano delle nostre paturnie umane.

Molte persone, anzi troppe, quando parlano, il più delle volte vomitano le proprie frustrazioni senza condividere veramente ciò che sentono. E non lo fanno certo per cattiveria, tutt’altro! Per loro è davvero difficile esprimersi e lasciarsi “entrare dentro” dal proprio interlocutore. La psicologia moderna si è data un bel da fare, non c’è che dire, per indagare le cause della malinconia e della tristezza senza però riuscire a dare delle risposte, a mio avviso, esaustive.

Pensiamo alla depressione, gli addetti ai lavori ce la presentano come una vera e propria malattia e la curano con psicofarmaci e medicinali. Non sono un medico e mi piace andare oltre le mie competenze e riflettere su soluzioni anche alternative alle tradizionali, e se allargo il mio campo di osservazione e dal mio quartiere passo alla mia città, per poi percorrere il mio paese e fermarmi al mio solo continente, non posso non notare che tristezza, malinconia, ansia e stress non sono episodi marginali ma vicende reiterate e diffuse che abitano (e si nutrono) del 90% della popolazione. È come se fossimo tutti posseduti, tutti arrabbiati, infuriati e farneticanti con le facce molli o tirate a seconda del caso.

Sempre più spesso mi capita di vedere gente per strada che parla da sola – nulla di grave per carità – se non fosse perché lo fa in maniera aggressiva e bellicosa. È tutta una questione di virus, e siamo tutti affetti da questa strana malattia, la “Stranoialamentite”, i cui sintomi più comuni sono la dipendenza da tutti i social, la noia mortale ed il lamento ripetuto e continuato. La sintomatologia prosegue con caratteri più gravi, quando cominciamo ad essere insoddisfatti di tutto perché non abbiamo ciò che desideriamo.

Frasi tipiche dell’ammalato di “Stranoialamentite” sono: “perché non posso avere le cose che hanno tutte le ragazze normali? Perché non posso fare la donna in carriera in vece di fare la mamma? Perché non posso fare la mamma invece di fare la donna in carriera? Perché non posso avere tutte le donne del mondo invece di sopportare mia moglie? Perché non posso essere alto, magro e pieno di muscoli invece di essere basso, grasso e pieno di brufoli? Perché il mio vicino ha l’orto e il giardino più belli dei miei? E soprattutto perché lui/lei fa sesso più di me?”

Sono solo degli esempi, ma se chi leggendo sorride tra sé e pensa “Perbacco! Proprio ieri ho detto la stessa cosa” allora, mi spiace, è anch’egli affetto da “Stranoialamentite”.

Quante donne/uomini single mi stanno leggendo in questo momento? Scommetto che quasi tutti/e vorrebbero un/a compagno/a, e altrettante/i desidererebbero anche dei figli. Sono pronta, poi, a scommettere che la maggioranza di queste persone – una volta ottenuto ciò che desidera – proseguirebbe con il successivo lamento per averlo avuto sì, ma non come avrebbe voluto che fosse. È tipico, è capitato un milione di volte, come la questione dell’erba del vicino e del suo colore sempre più verde rispetto a quello del nostro amato orticello.

Una storia infinita ed un cane che si morde la coda: neanche in millenni di presenza su questo pianeta siamo stati in grado di apprendere che LA FORZA È IN CIÒ CHE SI È E NON IN CIÒ CHE SI HA. Mi sembra un principio così semplice che stento a pensare di averlo compreso in età matura anche io. Qualche giorno fa ho giustappunto pubblicato un mio pensiero in merito su Facebook “La felicità è una scelta” e, a parte i like e qualche disquisizione filosofica sul tema con qualche amica più intelligente della media, nessuno mi ha rilevato la necessità di trovare una cura alla patologia collettiva dell’infelicità.

Siamo davvero una specie strana, non abbiamo preso proprio nulla dai nostri fratelli animali e dai nostri fratelli vegetali. Loro sì che sono creature sane, non creano problemi, non alterano l’equilibrio del pianeta, non si lamentano… (insomma, proprio animali e vegetali sulla scala dell’evoluzione sono ai piani superiori) noi, invece, siamo complicati ed estremamente rumorosi, facciamo trattati sull’amore e poi non amiamo nessuno (neanche noi stessi), sventoliamo vessilli d’oro con la parola libertà per poi costruire città gabbie; sponsorizziamo campagne sulla “comunicazione” e poi ci facciamo solo selfie, impiegando un’intera vita per destrutturare noi stessi per tornare in vecchiaia alle stesse considerazioni di quando avevamo 5 anni.

Alla luce di queste riflessioni, dove sta la differenza tra ciò che abbiamo e ciò che non abbiamo? Perché un vestito nuovo o un fidanzato, o meglio una casa o più soldi dovrebbe renderci persone diverse e quindi più felici? Perché esaudire tutti i desideri dei nostri figli – per evitare che si sentano diversi dagli altri (come se essere diversi non fosse una cosa buona) – dovrebbe farci sentire genitori più capaci di altri? Perché avere successo nella vita dovrebbe farci sentire più soddisfatti di chi non lo ha?

Poi c’è la questione del riconoscimento di ciò che siamo e che dovremmo essere secondo gli altri, e poi il giudizio che gli altri hanno su di noi, cosa pensano, e cosa pensiamo noi del fatto che pensino di noi proprio quella cosa nella quale non ci riconosciamo proprio. E poi posso continuare all’infinito ma già il ragionamento complicato genera in me un senso di angoscia per quanto sia arzigogolato (diciamocelo, un autentico manicomio) per cui mi fermo.

E quindi ecco perché la felicità è una scelta: io scelgo di essere felice, scelgo di buttarmi alle spalle tutti questi costrutti concepiti da altri e non da me, scelgo di essere quello che sono senza il timore di apparire strana, banale, sciocca, o altro. E scelgo di vedere i colori del mondo, compreso il grigio, scelgo di ridere e di piangere dando a queste due attività sacre lo stesso valore, scelgo di amare e sentirmi amata, perché amo me stessa e scelgo di sognare perché conservo la fede. Tutto sommato, la vita è un palcoscenico e noi siamo i registi che scegliamo tutto, dagli attori alla storia, dalla musica alla scenografia. Occorre avere creatività ed immaginazione, e parlare poco.

E tutto il resto non ha importanza perché quando scelgo di essere felice anche l’Ansia si trasforma in Fata Turchina, lo Stress intona un rap, la Malinconia si veste di fiori e la Tristezza diventa una farfalla colorata che canta come l’usignolo più dolce.

 

%

Questo articolo è stato letto

Clicca qui per ascoltare la mia versione della canzone "Smile"

wink