In questi giorni riflettevo sulla tendenza, abbastanza diffusa nella nostra società contemporanea, alla predilezione per il sottobosco, ossia “quella parte dell’ambiente boschivo che si sviluppa all’ombra degli alberi ad alto fusto in situazione di scarsa illuminazione ed elevata umidità (fonte wikipedia)” e devo dire che mai descrizione fu più appropriata per rappresentare al meglio la fitta rete di relazioni, conversazioni, ammiccamenti, proposte (spesso indecenti) che si sviluppa nelle relazioni umane ed oggi in special modo, parallelamente e silentemente, all’interno e  attraverso i social network.

Non voglio, con questo, demonizzare i social network né, tanto meno, emettere una sentenza di condanna contro la rete: credo che il web sia un potente strumento di conoscenza, attraverso il quale è possibile accedere alle informazioni, in quantità illimitate. Ogni attimo della nostra quotidianità ci consente, grazie al web, di essere interconnessi ad ogni altra parte del mondo, ed in tempo reale. Il mio giudizio sull’uso della tecnologia in tal senso, non può che essere positivo. La “Rete” però, nasconde insidie e pericoli, che possono manifestarsi anche attraverso l’uso dei social network, pertanto l’utilizzo del web va fatto con le dovute cautele.

Sorvolando sulle problematiche e sulle tipologie di atti e misfatti in cui ognuno di noi può cadere, preda di individui poco raccomandabili (furto d’identità, falsificazioni, frodi informatiche, reveng porn, sexting, cyberbullismo ecc, cd. reati informatici) in questa sede voglio parlare piuttosto di un altro tipo di insidia, considerata – superficialmente – meno preoccupante.

Parlo di qualcosa di diverso, ossia dell’uso “altro” – e aggiungerei, clandestino – che viene fatto dei social.

Nulla di grave per carità e nulla di nuovo sotto al cielo!

Da sempre l’essere umano coltiva la tendenza ad “isolarsi“, cercando oasi di pace o isole incontaminate dove estraniarsi per fuggire da una routine noiosa e faticosa. Quindi non di rado accade che si ritrovi a cercare luoghi ombrosi e comodi dove potersi nascondere, per celebrare in totale relax e in tutta calma il proprio io, svilito probabilmente da situazioni di vita realmente vissuta poco conformi alle proprie aspettative.

Ormai consolidata è la presenza umana on line in tutto il mondo. Secondo l’indagine condotta dal Global Digital Report 2019 sul tempo trascorso in internet nei vari paesi del mondo, l’italiano medio (al 22°posto) impiega circa 6 ore e 4 minuti del proprio tempo giornalmente (una mezza giornata!) – appena un tantino sotto la media mondiale di 6 ore e 42 minuti – sui social (circa il 45%): i siti più visitati sarebbero google e youtube e al terzo posto… udite udite … facebook!

Forse tutto questo tempo speso online (6 ore su 24 ore) è la conseguenza dalla progressiva digitalizzazione del lavoro (visto che sono un avvocato cito – uno per tutti – il fantastico processo telematico), o magari è l’eco di qualcos’altro. Da un recente sondaggio condotto dalla sottoscritta a mezzo Instagram, è emerso che la maggioranza delle persone utilizza i social per “abitudine”, mettendo in luce un altro aspetto molto interessante: un comportamento reiterato nel tempo, oltre a creare assuefazione genera consuetudine. Alle menti più brillanti lascio la possibilità di formulare eventuali congetture sui modelli comportamentali umani circa il punto di non ritorno che scaturisce dallo schema routine/noia/fuga/isola/routine/noia/fuga?

Diciamoci la verità, a chi non piace, camminando in un bosco lussureggiante, fermarsi ad ammirare funghi, funghetti, muschi e licheni spuntare sotto un albero? Esercitano un discreto fascino su tutti, perché ci riportano al mondo nascosto, quello dove non arriva la luce del sole, il luogo dove sogni e creaturine fantastiche prendono vita. Non è un caso che fate e folletti prediligano questo tipo di sotto – luoghi.

Come non è un caso che Alice stessa, nell’inseguire il bianconiglio acceda al Paese delle Meraviglie proprio attraverso un buco (la tana del coniglio), tra gli alberi. L’odore di muschio ci inebria e le spore fungine trasmettono ai nostri sensi i loro messaggi fatati, tutto ci rapisce riportandoci in un non luogo, dove il tempo sembra essersi fermato.

Analogamente, come non lasciarsi sedurre dal sottobosco virtuale? Facebook, al primo posto in questi termini, credo che rappresenti un esempio eloquente (anche Instagram e il recente Linkedin non scherzano). Lo sport del “chattare” piace un po’ a tutti: chi non desidera farsi coccolare da complimenti, dediche musicali e dolci e calde parole?

Delle vere e proprie oasi, le chat, al riparo da occhi indiscreti, rifugi da una routine noiosa e stancante e paradisi per i più narcisi, finalmente appagati da attenzioni e premure: l’epopea della condivisione non condivisa se non su un piano puramente formale, ristoro della vanità e palestra di emozioni che non si sanno esprimere come vorrebbero.

Selfie, poesie e offerte ondivaghe infittiscono l’humus di nuova linfa che contribuisce a rafforzare il reticolo di sogni infranti di adulti intenti a crogiolarsi in malinconiche rievocazioni di situazioni inesistenti.

Romantico? Commovente? Patetico? Ai naviganti, l’ardua sentenza.

 

 

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