La statua
by Argia Di Donato on dic.01, 2010, under blog
C’era una volta una statua. Era uscita fuori dalle abili mani di uno scultore come tanti. Niente vi era di più bello delle forme intagliate nel marmo che riproponevano spalle gentili, fianchi opulenti e timido ventre, avvolte da un manto sottile. Il volto, incorniciato da chioma di perle, esprimeva grande dolcezza con le labbra semichiuse e gli occhi fissi verso l’infinito innanzi a sé.
Un ricco signore ne era rimasto incantato e, scegliendola tra tutte, l’aveva presa per sé. Voleva che adornasse il suo bel palazzo per destare l’invidia di tutti i suoi ospiti. Così la pose al centro della sala più grande della sua casa in modo che tutti potessero ammirarla e adorarla.
Ma ci fu un violento terremoto che rase al suolo la città e con essa il grande palazzo del ricco signore. Solo la statua fu risparmiata dalla Terra che ne fu avvinta per le grazia e la bellezza che trasmetteva. Ora la meraviglia di marmo si ergeva su di un cumulo di macerie e l’eco del suo pianto disperato si spandeva per l’aria.
Il Tempo trascorse senza che anima viva visitasse quei luoghi.
Un giorno passò di lì uno scarabeo. Vide le tristi macerie e, su quelle, la statua che si disperava.
“Perchè piangete mia Signora?” le domandò.
“Non posso evitarlo” rispose ella.
E lo scarabeo “Raccontatemi, dunque, cosa vi è successo”.
“Piango per queste macerie, resti di un grande palazzo di un antico e nobile signore. I miei giorni erano felici ed ero la regina della casa. Tutti venivano a vedermi, per quanto fossi bella e aggraziata nelle forme. Poi un giorno, l’ingiusta Terra decise di tremare e rase al suolo ogni cosa, distruggendo tutto e portando via con sé la vita. Orrore e morte questi occhi hanno visto. Dolore e disperazione queste orecchie hanno sentito. Implorai allora, gli Dèi affinchè il tremore violento distruggesse anche me. Ma quella, ormai sazia, si placò ed io fui ignorata. E non avrei mai voluto. Ella, crudele, mi ha condannata a vivere l’eternità su un cumulo di macerie.”
“Mia triste signora” disse lo scarabeo che intanto era volato sulla spalla marmorea della statua “comprendo molto bene. La Desolazione ha l’amaro effetto di trascinare nel suo vortice chiunque abbia a che fare con lei. Assieme alla Malinconia scava nel cuore un solco dove riporre il seme del Dolore che, crescendo, si autoalimenta. Ciò che accaduto è stato, mia cara Signora. Non piangete più”.
“Come puoi chiedermi di non piangere? Come puoi chiedermi di non disperarmi? Non le vedi le macerie? Non senti il palpito mancante di ciò che non esiste più?” ribattè quella offesa ed arrabbiata.
E lo scarabeo, posandosi sul petto della statua, dove ha sede il cuore dell’uomo, le sussurrò “ Mia dolce Signora, anche se cento tra gli operai più valenti si adoperassero per ricostruire il suo bel palazzo, non riuscirebbero a riproporlo così com’era un tempo. E’ cosa giusta offrire l’opportunità al Dolore di uscire fuori da noi ma non è altrettanto saggio perseverare nel dannarsi per un qualcosa che ormai è andato. Le macerie sono testimoni della bellezza che fu. E che non tornerà più. Ma ciò non è per forza un male. Voi siete testimone del dolore che fu e memoria di quanto accaduto. Ma allo stesso tempo, siete anche garante della bellezza e dell’opulenza del grande palazzo. Sappiate, dunque, conservare questo ruolo e abbandonate il dolore. Nulla è mai come è. Tutto diviene. Tutto si trasforma”.
La statua fermò il suo pianto allora, smossa dalle parole del saggio scarabeo. Rimase in silenzio ed un raggio di sole la illuminò, rendendola candida come una stella. Il verde scarabeo volò via verso il cielo.

