“Il cambiamento è un atteggiamento”

Sig. primo cittadino,

abbiamo avuto una tornata elettorale per queste amministrative davvero particolare. Basti pensare che, a livello nazionale, si registra una spinta leggermente differente in ordine al modo di intendere la politica, oggi del tutto sprovvista di qualsiasi appeal. Il successo conseguito dal M5stelle a Roma e a Torino, evidenzia una piega di colore diverso. Un segno di cambiamento, e non credo, così come affermato da molti, un voto di protesta nei confronti del governo. O almeno è questo quello a cui auspico. La considerazione di ordine generale, sulla quale rifletto, credo sia fondamentale per una più compiuta osservazione dello scenario locale. Fa comprendere molto bene, che un cambio di rotta è necessario. E, soprattutto, fa capire che i modelli politici nostrani devono essere rinfrescati da  linguaggi innovativi capaci di richiamare l’attenzione delle nuove generazioni sempre più distratte e disilluse, trascinate dall’oceano degli impulsi del mondo contemporaneo. 

Ma veniamo a Napoli. Questa Napoli fatta di luci e di ombre, una città sospesa tra cielo e mare, da sempre equilibrista e alla ricerca del paradiso perduto chissà dove. Una città e un popolo, quello napoletano, che ha dimenticato la propria identità in qualche sacchetto dell’immondizia o tra le strofe di un’antica canzone ormai diventata stonata. Un popolo (o una sua gran parte) che disconosce il valore e il significato di “cosa comune” e che guarda al proprio interesse personale o tutt’al più a quello dei più stretti congiunti. O ancora, un popolo che ha abbandonato l’idea della democrazia, perché non partecipa attivamente alla vita politica della città, se ne disinteressa per poi lamentarsi quando i danni provocati dalla propria indolenza diventano irreparabili. Gente che vive di colori e di canzoni ma che non osserva con occhio critico la realtà, preferendo arrampicarsi sugli allori per addormentarvisi perché i sogni, si sa, sono più appetibili e belli di una realtà fatta di sudore, sacrificio e impegno quotidiani.

Conobbi una volta un uomo che viveva in un appartamento fatiscente e sporco, con tanti figli da sfamare e da educare e che, a cuor leggero, si ubriacava perché – mi disse – non aveva altra possibilità. Festeggiare e cantare, e far cantare i suoi figli – replicò – sarebbe bastato per scacciare dal cuore la pena che aveva, la povertà e l’ignoranza patite della sua famiglia. Tutti, in quella casa disastrata, sporca e trasandata, infatti, cantavano e ballavano. Quando gli dissi che avrebbe potuto lavorare, mi rispose che era troppo vecchio per farlo, e quando gli chiesi perché anche i suoi figli non lavoravano, ribatté che era troppo complicato, perché troppo giovani. Uno dei fratelli però, che era diverso dalla cricca e che di voglia di lavorare ne aveva tanta, più volte aveva provato a riparare e abbellire l’abitazione ma, puntualmente, ciò che egli realizzava – sculture sulle travi legnose, archi bianchi come il latte tra una stanza e l’altra, straordinari affreschi e fiumi di parole dipinti sulle mura – era distrutto dall’incuria dei fratelli, indolenti e bighelloni.

La conclusione di questa storia è di facile prevedibilità. La voce di quell’anima si sperdeva nel chiasso prodotto dagli altri fratelli e, data la noncuranza del padre, rimaneva vuota e sterile, e quanto di bello realizzava quell’artista non interessava a nessuno.

Sig. primo cittadino, non credo personalmente che Napoli abbia bisogno di padri così. Non credo sia possibile risollevarsi facendo clamore, festa o baldoria. O scimmiottando piste ciclabili controverse, lungomari insostenibili o parchi e ville comunali abbandonate a se stesse o strade rotte, la lista è assai lunga.

La risalita di Napoli non viene dal “ridere” ma dal rimboccarsi le maniche, dall’operosità dei suoi abitanti, dalla voglia di cambiamento che non è una parola e basta, ma un vero e proprio atteggiamento. Canzoni, pizza e mandolino. Noi non siamo solo questo. Napoli è molto di più. Ma per saperlo occorre studiare.

Bisogna partire dalla cultura, che non è solo concerto di piazza ma soprattutto letteratura, poesia e filosofia per ingentilire l’animo e per sfamare la mente. Bisogna realizzare piani formativi culturali per la gente, creando centri educativi in ogni municipalità, a cui affiancare percorsi di legalità. Cultura e diritto devono respirare in questa città. Ma non solo a parole. 

Sig. primo cittadino, si circondi di menti illuminate, che possano aiutarla ad aiutare Napoli, dia spazio a persone che hanno un curriculum che attesti una qualifica professionale acclarata per ogni campo del sapere, dia voce a chi agisce non per sé ma perché animato da un ideale. Organizzi più riunioni con le associazioni, stabilisca dei momenti di confronto che possano portare sul piano concreto le proposte e le idee. E dia opportunità a chi è più meritevole, senza alcun favoritismo né occhio di riguardo. Sia gentile con il popolo ma anche fermo nell’applicazione delle regole. Perché senza doveri non possono esserci diritti.

Non possiamo né ballare la tarantella né cantare “O Sole mio” all’infinito. Non possiamo permettercelo. Dobbiamo lavorare per recuperare le nostre gloriose radici e, insieme, dobbiamo costruire una mentalità nuova, perché se rendo grazioso un quartiere ma non cambio il modo di pensare e, quindi di agire, dei suoi abitanti, il risultato sarà tutt’altro che positivo. Perché la dignità è una cosa che va riscoperta dall’individuo, intimamente, attraverso una presa di coscienza reale. E non è cosa da poco.

Il cambiamento, parola tanto bella quanto impegnativa di cui tutti si riempiono la bocca, si nutre di impegno e di buona volontà costanti. Sig. primo cittadino, pensi a quella casa sgangherata, e pensi a quel fratello pieno di entusiasmo e di risorse. Napoli merita questo? Tutti noi lo meritiamo? Coltivo la speranza di un rinnovamento, prima di tutto culturale.

Non mi deluda ancora.

 

Una cittadina qualunque