
É di alcuni giorni fa il servizio di “Striscia la Notizia” relativo a quanto accaduto a Napoli tra il 16 ed il 17 gennaio in occasione del cippo di San’Antonio. Le immagini documentate da Brumotti e presentate come espressione di una vera e propria guerriglia urbana con incendi in varie zone della città, lanci di sassi, bombe carta e bottiglie di vetro, hanno fatto il giro d’Italia. E, il tutto, omettendo la storia ed il senso di questa tradizione molto antica nonché sull’annesso valore simbolico del fuoco, la cui dissertazione si preferisce rinviare ad altro momento. E come sempre accade nel nostro “bel” paese c’è chi è pronto a puntare il dito e a “sparare” sentenze, etichettando i ragazzi, artefici di tanto clamore, come veri e propri criminali. Chiaramente, senza neanche un regolare processo.
Uno per tutti, il parlamentare Francesco Emilio Borrelli, deputato di “Alleanza Verdi-Sinistra” che ha documentato con il suo cellulare, nel suo stile da inviato speciale, alcuni di quelli che ha definito “momenti di follia”.
Secondo Borrelli “la situazione è sfuggita di mano, con roghi in diversi punti della città, lanci di sassi, bottiglie di vetro, bombe carta e sassaiole contro vigili del fuoco e forze dell’ordine”: scene apocalittiche che hanno spinto il deputato campano a chiedere l’intervento dei «carri armati» in città.

La riflessione é doverosa.
Tanto al fatto in sé quanto alla reazione di sdegno da parte di chi, a parere della scrivente, dovrebbe adoperarsi, non solo a denunciare, bensì ad instaurare buone prassi comportamentali, veicolando i valori del bello e del giusto con comprensione e saggezza. Più volte, in occasione di scritti e dibattiti pubblici, ho posto attenzione sulla necessità che vi siano più Maestri, carenza predominante che contraddistingue la nostra contemporaneità, personalità sapienti e votate all’educazione delle giovani generazioni attraverso attenzione e cura, impegno e amore. Più facile distruggere che impegnarsi a costruire, dunque, ed eccoci pronti a puntare il dito nei confronti di giovani ragazzi probabilmente inconsapevoli di un agito che è espressione stesso dell’ambiente in cui sono nati e cresciuti. E allora, perché non creare più centri educativi, erogare più fondi per l’educazione, favorire più che contrastare l’operato di enti benefici ed associazioni che giorno dopo giorno si battono e combattono in territori difficili, continuando a credere in un mondo diverso? Le istituzioni sembrano ci abbandonino in questo, e sono assenti, sì ma non nella repressione bensì nella cura e nell’attenzione dovuta.

Tali considerazioni mi portano ad ulteriori riflessioni. Penso al ruolo delle famiglie e alla funzione che dovrebbero avere. Credo che per un cambio di Società occorra un mutamento radicale di convinzioni e valori. Prima di tutto all’interno della famiglia, come cellula base della società, riscoprendo il valore delle relazioni affettive e la qualità e la quantità del tempo ad esse destinate.

Prendo a prestito, quindi, le parole del filosofo, saggista e psicoanalista Umberto Galimberti quando dice che “È necessario ritornare a prendersi cura dei figli, degli anziani, delle relazioni familiari e della propria vita emotiva, non dimenticando mai che il denaro non vale uno sguardo…“; mi trova pienamente d’accordo. Mi sembra evidente che quanto accada di brutto e in riferimento alle condotte dei giovani sia il prodotto dell’incuria emotiva e dell’incapacità di trasmettere i valori fondamentali, privilegiando lo svilimento, il giudizio, l’accondiscendenza piuttosto che la dedizione, l’ascolto, l’educazione. Dice bene Galimberti quando afferma che “Il tempo non è qualità. È quantità necessaria per far le cose insieme, per seguire i processi di crescita, per scoprire i problemi, per creare quella base di fiducia per cui i genitori ‘ci sono ‘, non solo quando si compiono gli anni“, puntando sulla quantità del tempo da dedicare alla famiglia.
Più tempo, quindi, più presenza, più ascolto e considerazione. Ma con autorevolezza e amore da parte delle famiglie
E più comprensione, determinazione e sostegno. Ma senza giudizio, da parte delle Istituzioni e della Politica.
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